LA COMUNICAZIONE E LA RELAZIONE EDUCATIVA

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Il termine comunicare deriva dal latino “communicare”, da “communis” “comune” che significa trasmettere, partecipare agli altri messaggi tramite segni, parole, relazioni.
Affinché la comunicazione possa avvenire è necessario che vi siano almeno due soggetti: un emittente e un ricevente. Si crea, così, una bidirezionalità vale a dire una dinamica relativa a parole, gesti, sguardi che passa da un individuo all’altro. Quello che bisogna sempre tenere presente è che non basta trasmettere un messaggio verbalmente ma anche considerare cosa succede in chi lo riceve, cioè come è costituito il suo modello del mondo che influenzerà la comunicazione successiva. Questo è di fondamentale importanza per capire il diverso comportamento e approccio al processo educativo che porta ad un apprendimento di nuovi comportamenti. Questi comprendono sia i comportamenti esterni (azioni) che interni (emozioni, pensieri, sensazioni). Questi ultimi sono soggettivi ed influenzano quelli esterni che, invece, concorrono a definire gli interni.
Ogni comportamento è il risultato di informazioni apprese sull’universo esterno (come anche dei propri stati interni) attraverso i nostri cinque sensi o sistemi rappresentazionali. Tali informazioni vengono, poi, trasformate ed elaborate dal nostro cervello dandoci una rappresentazione della realtà soggettiva. Questa diversa percezione determina una diversa costruzione del proprio modello del mondo (costituito dalle proprie esperienze) anche se si vive in ambienti sociali e culturali simili. Non esistono, infatti, due modelli del mondo identici, perché ognuno di noi percepisce la realtà attraverso immagini, suoni, percezioni tattili, gustative e olfattive che caratterizzano la propria identità. Come conseguenza per poter interagire meglio con gli altri bisogna entrare nel loro modello del mondo, capire cioè le loro strategie, i loro bisogni.
A partire da queste considerazioni il compito dell’insegnante potrebbe essere quello di identificare i vari “linguaggi” che i bambini usano per pensare e poter, così, trasmettere le informazioni nella stessa lingua. Ma, affinché questo possa avvenire, è importante imparare a comunicare integralmente.
La comunicazione integrale o meglio globale è costituita dall’integrazione della comunicazione verbale o “digitale” con quella non verbale o “analogica”. Quest’ultima sorregge e dà ulteriori informazioni alle parole che vengono trasmesse e costituisce il feedback necessario per capire come correggere e migliorare la propria comunicazione, il proprio insegnamento.
L’osservazione, allora, di segnali non verbali come: cenni del capo, alterazioni del respiro, l’osservazione dei movimenti oculari, i cambiamenti del tono della voce, permettono di poter seguire, passo dopo passo, come procede il processo didattico.
Bisogna ricordare che la responsabilità di non essere riusciti a far capire agli altri i propri messaggi è solamente di chi comunica.
Secondo Paul Watzlawich la comunicazione avviene su due livelli: il piano del contenuto e quello della relazione che definisce il primo. Il livello del contenuto è determinato dalle parole recepite dall’emisfero sinistro del nostro cervello che governa tutto ciò che è analitico, razionale, verbale; quello della relazione è, invece, definito dal linguaggio del corpo e dal paraverbale (tono della voce) recepiti dall’emisfero destro cioè dalla mente inconscia che pensa per immagini, raffigura, visualizza, offre “metainformazioni” in altre parole informazioni sulle informazioni verbali. Infatti, il verbale ha una valenza solo del 7% nell’efficacia di una comunicazione, il resto è determinato dalla parte analogica.
Da questo si può evincere che fin quando la relazione è positiva o neutrale i messaggi possono giungere all’altro senza impedimenti. Se, invece, uno dei due interlocutori non si sente a proprio agio (ansia, nervosismo, convinzioni, rabbia, timore, insicurezza, disistima, la relazione diventa più importante del contenuto. Allora si è “distratti”, in quanto le parti più antiche del cervello (il cervello rettile) entrano in funzione disturbando l’attività analitica del cervello pensante, senza il quale non si può prestare ascolto e riflettere sulle informazioni che ci vengono inviate. Questo può spiegare il perché un tono aggressivo per un rimprovero o una recriminazione, oppure una gestualità troppo incisiva e minacciosa possono peggiorare la comunicazione e quindi l’apprendimento.

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