GLI OGGETTI NASCOSTI

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Non bisogna rimanere ancorati a episodi che appartengono al passato,
magari a venti anni prima. A volte il trauma può diventare un alibi,
fermare le nostre vite e non farci crescere. (Gustavo Pietropolli Charmet)

Forse nel corpo si depositano ricordi che la mente non è in grado di custodire: la rimozione dei traumi infantili nell’inconscio, per esempio, può essere anche raffigurata come il nascondimento nel corpo di intollerabili impressioni di paura e disamore vissuti quando si era bambini. Allora, forse, l’incapacità di accontentarsi del proprio aspetto così com’è e, anzi, l’avversione per parti di esso che ci sono sgradite o, ancora, il progetto mirato a sciuparlo e rovinarlo attraverso droghe, alcool, eccessi alimentari, possono valere tutti quali rappresentazioni di quei complessi inconsci che trovano nel corpo una dimora capace di esprimerli senza tuttavia palesarne il significato in una rivelazione che sarebbe insostenibile per la coscienza.

Le esperienze traumatiche infantili hanno un forte impatto sullo sviluppo di disturbi psichici nell’infanzia, così come nella vita adulta. Uno studio epidemiologico del 2010 (1) ha mostrato che il 44% della psicopatologia che esordisce nell’infanzia ed il 30% di quella che insorge in età adulta è riferibile alla presenza di traumi infantili. Dati simili sono stati ottenuti in altri studi (2,3) che hanno identificato un effetto di eventi traumatici vissuti nei primi 18 anni di vita sullo sviluppo di malattie psichiatriche e mediche e, in generale, sulle aspettative di vita. Manifestazioni cliniche, come i flashback, i fenomeni dissociativi, gli incubi, le immagini o i pensieri intrusivi e i comportamenti disinibiti e aggressivi si possono osservare in patologie come il Disturbo Post-traumatico da Stress (DPTS), il Disturbo Borderline di Personalità (DBP), i Disturbi dell’Umore o il Disturbo Anti-sociale (DAS).

Traumi vissuti nei primi anni di vita possono inibire i meccanismi neurobiologici coinvolti nella registrazione dell’evento nella memoria (nell’ippocampo) e, al contempo, attivare strutture cerebrali coinvolte nell’elaborazione emotiva (come l’amigdala), facendo sì che certi ricordi vengano registrati solo a livello implicito e inconscio. In corrispondenza di esperienze traumatiche si osserva un rilascio immediato e transitorio di noradrenalina e, più a lungo termine e con un rilascio più prolungato, di ormoni glucocorticoidi, come il cortisolo. Questi ultimi hanno un impatto sull’ippocampo, una struttura del cervello fondamentale nel registrare informazioni ed esperienze e nella loro integrazione con altri dati autobiografici. In questo modo, un evento molto traumatico può inibire l’ippocampo e interferire con la registrazione del ricordo. Addirittura, traumi intensi e ripetuti possono portare ad un’alterazione della secrezione quotidiana di questo ormone, ostacolando nel lungo termine lo sviluppo dell’ippocampo. Questi processi possono essere reversibili se i traumi vengono sospesi e in qualche modo “alleviati o riparati”; mentre, se non avviene alcun processo di riparazione affettivo-relazionale, si può andare incontro ad un processo di morte neuronale che porta alla riduzione del volume dell’ippocampo. In fatti, in alcuni pazienti adulti con DPTS che hanno vissuto esperienze traumatiche in età infantile (4) è possibile osservare maggiore atrofia di questa struttura. A questo proposito è interessante considerare la distinzione tra eventi traumatici privati, come per esempio gli abusi fisici o sessuali, consumati per lo più nell’ambito familiare, e quelli pubblici, quali calamità naturali, catastrofi o incidenti. I primi, solitamente tenuti nascosti, non hanno la possibilità di venire elaborati, verbalizzati e condivisi con altre figure significative, compromettendone la registrazione nella memoria episodica. Questo tipo di risposta ambientale interferisce con il consolidamento dell’evento e, inibendo il funzionamento dell’ippocampo, ne impedisce la registrazione, anche a livello corticale. Al contrario, i traumi pubblici, per quanto intensi e dolorosi, possono venire ricostruiti, integrati ed elaborati attraverso la condivisione e la verbalizzazione con le figure di riferimento, che, aiutando il bambino nella comprensione dell’accaduto, ne facilitano un adeguato consolidamento nella memoria episodica, permettendo una riparazione psico-emotiva, anche a livello neuronale (5).

In parallelo con quanto accade nell’ippocampo durante un’esperienza emotiva intensa, il maggiore rilascio di adrenalina e noradrenalina avrebbe un effetto inibitorio sull’amigdala, una struttura del sistema limbico che ha un ruolo chiave nello stabilire il valore affettivo di un’esperienza e che contribuisce all’integrazione dei ricordi all’interno della nostra identità autobiografica (6). La combinazione tra la presenza di eventi cognitivi salienti e i loro effetti fisiologici sul nostro corpo fa sì che eventi emotivamente intensi possano essere conservati e, in seguito, richiamati, con maggiore facilità. È noto, infatti, che è più facile immagazzinare, e poi ricordare, un evento emotivamente intenso (ma non troppo!), rispetto ad uno meno coinvolgente (7). In situazioni altamente traumatiche vi può essere un blocco delle funzioni della memoria esplicita, meccanismo per cui automaticamente la vittima cerca di evitare o ridurre la sofferenza, per esempio, concentrando la propria attenzione su aspetti dell’evento meno salienti, come dettagli visivi o altri pensieri. Questo fa sì che, mentre da una parte l’inibizione dell’ippocampo blocca la registrazione del contenuto dell’evento in memoria, d’altro canto, alcuni elementi emotivi (come la paura) o sensoriali (come le sensazioni tattili, visive o olfattive) o comportamentali (per esempio, l’impulso alla fuga o la dissociazione) vengano immagazzinati a livello della memoria emotiva-implicita, causando uno scollamento tra alcuni input, che vengono conservati (e che possono emergere improvvisamente tramite degli specifici stimoli che fungono da richiamo), e i ricordi autobiografici espliciti.

Questi meccanismi, che coinvolgono strutture cerebrali come l’ippocampo e l’amigdala, sarebbero alla base della rimozione esplicita di un trauma, da una parte, e delle sensazioni sensoriali o fisiologiche, delle emozioni o dei flashback che affiorano improvvisamente, dall’altra. Spesso, infatti, l’attivazione di un ricordo traumatico fa sì che il cervello riviva on-line l’esperienza passata, percependola come reale sul piano sensoriale, neurofisiologico ed emotivo, ma non necessariamente riconoscendola sul piano esplicito-verbale. Si assiste, cioè, ad una dissociazione tra la modalità con cui le informazioni dell’evento sono state immagazzinate a livello corporeo ed emotivo, e le sue componenti verbali coscienti, che (ammesso questo accada) possono venire identificate e integrate in una narrativa coerente solo dopo tempo e con un sostegno esterno. La ri-elaborazione, la verbalizzazione e l’integrazione del vissuto traumatico con i suoi elementi emotivo-sensoriali possono avere un ruolo chiave nell’intervento clinico sul trauma. Diversi modelli psicoterapici, come la Terapia Cognitivo-Comportamentale, l’Eye Movement Desensitization and Reprocessing (EMDR), la Schema Therapy e la Terapia Sensomotoria basano i propri interventi proprio sull’immaginazione e sull’intervento sul ricordo traumatico, favorendone l’elaborazione sui diversi livelli, incluso quello linguistico-verbale.

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